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Fotogallery Post Mortem

Post Mortem
di nino romeo

con
nino romeo

regia
pippo di marca

musiche
luciano berio

in coproduzione con
compagnia del metateatro, roma

 

Presentato al Camera Teatro Studio di Catania nel febbraio 2006, lo spettacolo è stato proposto, nello stesso anno al Palermo Teatro Festival e in Calabria; nel 2007, al Piccolo Teatro di Milano, nell'ambito della rassegna internazionale di drammaturgia contemporanea Tramedautore e, nel gennaio 2009, al Meteateatro di Roma.

 

Delfo Torrisi davanti ad un grande tavolo: e davanti a lui, bottiglie di grappa e acquaviti; e bicchieri di foggia diversa per accogliere i superalcolici che egli beve incessantemente. Rievoca la sua ultima giornata prima della catastrofe; e il suo ricordo narrato è racchiuso tra l'ascesa e la conseguente discesa dei gradini di una grande scalinata.

 

Ascesa: come quella che l'ha portato -lui, figlio di netturbino- alla direzione dell'Istituto di medicina legale. Discesa che lo conduce all'obitorio dove il destino -benevolo sinora- assumerà le sembianze di un crudele esattore. Delfo è solo davanti ai suoi bicchieri: ed a loro, pubblico indifferenziato, racconta brani della sua vita e dei personaggi che l'hanno animata. E, nel racconto, i bicchieri assumono identità, diventano essi stessi personaggi, pupi anzi, e anche pedine di una partita a scacchi senza rivincita. Via via che il racconto procede, Delfo assume consapevolezza d'essere stato uomo senza qualità, pur se dotato di un olfatto prodigioso e di una dirompente e disperante carica sessuale; e il narratore Delfo si fa impietoso, ironicamente beffardo, grottesco, contro se stesso e contro tutti i personaggi che hanno popolato la sua vita; il suo racconto è a volte comico, ma soltanto per necessità. Attraverso il suo racconto Delfo recupera il linguaggio dei padri, la lingua siciliana, antica ma fluente; e dai suoni, dalle espressioni di questa lingua si lascia attraversare sino ad immergersi in essa. Oralità, pupi, lingua siciliana: elementi della tradizione di Sicilia che la scrittura e l'interpretazione di Nino Romeo e la regia di Pippo Di Marca intendono innestare nella dimensione teatrale che più appartiene loro: quella della contemporaneità.

 

La novella Post mortem, commissionata nell'anno 2000 a Nino Romeo dalla Biennale delle Isole, premio letterario promosso dall'Università di Corsica e diretto da Giacomo Thiers, dalla quale è tratto il testo teatrale, è edita da Prova d'Autore, Catania.

 

Note di Pippo Di Marca, regista dello spettacolo

La parola -poetica, letteraria, mimetica- è da sempre il nutrimento, la fonte principale del teatro. Ma c'è parola e parola (come d'altronde, c'è teatro e teatro). Per cui non ci si può esimere dal porsi qualche domanda: la parola di chi? testimoniata da chi? come? perché? Del resto, c'è una parola per così dire muta, scritta o letta, e se c'è un qualche valore poetico in questa parola è quello del poeta; e c'è una parola parlata, detta, la cui cifra poetica altro non è che quella dell'attore, della sua voce. Allora, rispondendo lapidariamente alle domande, si può dire che la parola appartiene a buon diritto solo a chi è in grado poeticamente di farsi voce. In Post mortem, che l'autore Nino Romeo ha scritto prima come racconto, poi riscritto come monologo, per affidarlo -darlo in fiducia- infine all'interpretazione dell'attore Nino Romeo, la legittimità della 'voce' è indubitabile, alla lettera 'fuori discussione'. E ci si potrebbe fermare qui, notando en passant che le vette del teatro, non solo storicamente, sono raggiunte più facilmente da coloro i quali scrivono i testi che interpretano: è quanto potremmo chiamare il vero 'teatro d'autore'. Ogni testo e ogni interpretazione, però, nascono da un percorso particolare, talvolta complesso, hanno una loro forte specificità: che bisogna mettere a fuoco, ed è una messa a fuoco necessaria, complementare al passaggio successivo e definitivo: quello della messa in scena.

In margine a Post mortem, noterei innanzitutto che la natura geneticamente letteraria del testo teatrale comporta un duplice sviluppo sottotestuale: da una parte tende a farsi racconto oggettivo dei fatti ad opera dell'io narrante protagonista; dall'altra a manifestarsi come epifania soggettiva dello stesso protagonista, unico dunque e, insieme, dissociato. Quello che ci si snoda davanti, in un'alternanza originale e spiazzante della prima e della terza persona, è la progressiva 'scoperta' dei fatti oggettivi e dell'epifania soggettiva, della loro crudezza e tragicità, dell' 'orribile' caduta, una discesa agli inferi, più precisamente all'obitorio, dopo la 'eroicomica' ascesa ai vertici dell'Istituto di medicina legale. Il passare continuo dall'io al lui -come guidato da un automatismo quasi casuale, apparentemente 'innocuo'- può sembrare che 'dissimuli' e 'neutralizzi' la carica schizoide dell'alternanza, quando invece è proprio questa sorta di fluidità 'subliminale' che finisce col renderla ancora più 'crudele'.

In una siffatta struttura 'binaria', ulteriormente evidenziata anche dai continui slittamenti tra realtà e metafora, o tra commenti 'esterni' e monologo 'interiore', il 'teatro' viene giocato su più livelli: attraverso l'insieme composito dei vari elementi, costruito in modo da esaltare e al tempo stesso disvelare il meccanismo scenico, da una parte porta avanti una specie di sfida alla verità scenica unica, definitiva, dall'altra fa i conti con l'ambiguità profonda della poesia e della vita, ponendosi infine di fronte al lacerante mistero della morte, del sesso e della paternità. Tutto questo ha suggerito, come segno preponderante, una lettura 'meta-teatrale' del testo. Ed ecco allora che il protagonista racconta/rivive la sua storia, pressoché immobile, seduto per tutto il tempo dietro un grande tavolo che allude con evidenza a un minipalcoscenico: dove le sue abili mani di 'puparo' inscenano con ritmi quasi musicali il balletto di bicchieri riempiti di alcol che mano mano la sua bocca ingolla; questi bicchieri 'rappresentano' le pedine della sua storia, 'personaggi' di una assurda, metaforica partita a scacchi con la vita e con la morte, al termine della quale il puparo non potrà che farsi anche lui pupo.

Per contrappasso a questa meta-teatralità (che per definizione suole intendersi 'straniante'), la parola del testo, la sua lengua, è il siciliano, anzi il più sapido e genuino catanese, in grado di 'autenticare' -doppiamente, in senso basso e in senso alto, e al meglio- proprio quel genere di 'parola' cui si è fatto cenno all'inizio. Perchè qui la parola, che ha una cadenza antica, da lingua dei padri, mi sembra possieda la densità vischiosa di un fiume, e scorra inesorabile, a volte impennandosi in cascate irridenti, altre bloccandosi in calmi abissi senza tempo, trascinando con sé gli umori, le fobie, gli eccessi sia del protagonista sia della folla di personaggi che è testimone della sua piccola grande odissea di uomo senza qualità. E del resto in questo densissimo impasto verbale, in questo grumo ora doloroso ora grottesco, ora rappreso ora fluido, si possono ritrovare motivi e temi già sedimentati nella storia della cultura siciliana, con echi di Brancati, di Pirandello, di Verga; e più indietro persino della 'grecità', quell'idea 'tragica' e infame del destino, dove chissà, forse, già s'annidava il nostro 'fatalismo'.

Cosi come si possono ritrovare nell'interpretazione di Nino Romeo attore chiare tracce e memorie di un magistero attorale che , a partire da Giovanni Grasso sino a Turi Ferro, per citare i più importanti, esprime l'etnia, l'anima di una gente e lo spirito di un dialetto (una parola che più parola non si può!), in modi così istintivi e 'naturali' da incarnare, quasi senza mediazione, l'essenza profonda di un'arte dell'attore la quale si nutre 'misteriosamente' di se stessa e non si piega facilmente ai tentativi di sistematizzazione, di spiegazione razionale, nel momento in cui li sollecita e quasi li impone: forse non tutti sanno che Giovanni Grasso, di casa a New York, fu uno dei principali ispiratori, negli anni '20, degli 'studi' che avrebbero portato Lee Strasberg a elaborare i principi di quel 'metodo' poi utilizzato nel suo Actor's Studio.

 

scheda - rassegna stampa - fotogalley


Estratto della rassegna stampa

 

hanno scritto di Post mortem

Pippo Ardini - Giovanna Caggegi - Giuseppe Condorelli - Mauro Corso - Rodolfo Di Giammarco - Antonio Giordano - Maurizio Giordano - Fernando Gioviale - Antonella Melilli - Giuseppe Montemagno - Agata Motta - Paolo Randazzo - Sergio Sciacca - Simonetta Trovato - Guido Valdini - Ettore Zocaro

 

Mauro Corso «TeatroTeatro.it» del 26 gennaio 2009

Roma - (...) ...è un dramma affascinante, in cui eros e thanatos spesso si mescolano in modo spiazzante ed inquietante. (...) ...questo doppio coraggio, dialettale e stilistico, rende Post Mortem ancora più pregevole. (...) Grande interpretazione di Romeo che riesce a conferire dolente umanità anche a un personaggio apparentemente tenebroso e ripugnante.

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Ettore Zocaro «La Sicilia» del 21 gennaio 2009 Post mortem, successo per Nino Romeo

Roma - (...) Un insieme aspro e dirompente che ha la struttura del monologo tradizionale, ma ha anche il pregio di assumere idealmente la forma di una commedia affollata di personaggi, tutti immaginari ma con l'impressione di essere a portata di mano come "pupi" sempre a disposizione, parte di un discorso da cui non è possibili prescindere. Naturalmente, come accade nella vita, non mancano i momenti beffardi, grotteschi e persino comici. (...) Romeo è bravo nel dare alla sua narrazione la dimensione di una oralità scavata nel personaggio, bravo per spessore e intensità attorale, in modo da muoversi in più direzioni. Romeo aggiunge così un altro punto a suo favore, festeggiato nel suo già felice rapporto con il pubblico romano.

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Antonella Melilli «Il Tempo» del 21 gennaio 2009 - Discesa agli inferi di un uomo arrivato

Roma - (...) Coi succhi, l'espressività, gli umori di una cultura che, nei suoi elementi tradizionali di oralità, di pupi, di accenti siciliani, lo spettacolo restituisce alla contemporaneità, traendone una potenza di parola poetica che, in un continuo slittare di realtà e metafora, sia racconto oggettivo di fatti ed epifania soggettiva dello stesso protagonista.

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Rodolfo Di Giammarco «La Repubblica» del 18 gennaio 2009 L'ultima giornata di un uomo senza qualità

Roma - (...) Un ritratto di un uomo senza qualità, tra commenti esterni e flusso interiore, in un balletto di alcol.

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Segnalazione «Corriere della Sera» del 19 e 20 gennaio 2009 In Post Mortem parla l'uomo senza qualità

Roma - (...) ...quel siciliano intriso di suoni ancestrali e carnose espressioni che permette di ritrovare temi e motivi sedimentati nella storia della cultura isolana.

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Guido Valdini «la Repubblica» ed. Palermo del 3 dicembre 2006 La vitalità post mortem

Nonostante il titolo, "Post mortem" di Nino Romeo sprizza vitalità da ogni fiato... (...) Vitalità,istintività, vertigine sono gli elementi fondanti di "Post mortem"... (...) Un'anima che, colta dal dolore più atroce, compie un gesto estremo che dà scacco alla morte: la nutre del suo amore. (...) "Post mortem" è un avvincente racconto che, pur nella migliore novellistica siciliana, ha un sapore ancestrale e moderno insieme. Se per certi versi essa rinvia ad un'essenzialità archetipica dei modelli umani, con certe asprezze e oscurità insondabili alla "civiltà perfezionata" d'altro canto investe icone di consumo corrente, aggredisce il gusto per il disgusto, penetra in un a dimensione sentimentale spiazzante, dove al tramonto di una civiltà non pare delinearsi altro che la virtualità della crisi come condizione d'instabilità perenne, riscattabile solo a patto di recuperare un qualcosa dentro di noi, qualcosa che sentiamo vibrare, non sappiamo definire e continua a sfuggirci. Qualcosa che la barra inclinata di "Post mortem" ci indica, alla fine, con infinita e pietosa dolcezza. Tra monologo interiore e conviviale affabulazione, talora comica, ironica, crudele, scandita da un consumato ritmo letterario, "Post mortem" è un eccellente pezzo di tetro, nel passo, nelle pause, nelle digressioni, dove i personaggi sembrano muoversi sulla scena come fantasmi di un incubo che attraversa la realtà. (...) Narratore e protagonista, autore e personaggio, entravano e uscivano dai loro panni, si confondevano e si distanziavano, complici e straniati ad un tempo. Tutto affidato alla dialettica mimetica e affabulatoria di un attore di talento come Nino Romeo, che evocava questi fantasmi come in una seduta spiritica, dalla quale non si voleva uscire per meglio fuggire.

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Antonio Giordano «La Sicilia » del 24 novembre 2006 Intrigante Post mortem

Palermo - Estroso e interessante "Post mortem"... una storia che si situa tra le immagini e i temi di E.A. Poe e Guy De Maupssant.

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Agata Motta «La Sicilia» 21 novembre 2006 Romeo, realtà variegata

Palermo - (...) Scritto con superba maestria...Romeo vive il personaggio quasi in una trance memoriale che da una parte consente di recuperare distanza ed oggettività, ma dall'altra impone una sofferta scarnificazione dei sentimenti: si passa di continuo dalla prima alla terza persona, il narratore vive e si guarda vivere. La tragedia si respira già dall'inizio ee è percorsa dal brivido di un dialetto usato come un'arda di un lapidario sentenziare o di straziante dolcezza. E' quel catanese che Romeo fa vibrare con una capacità di viscere e di cuore più che di testa e di ragione. (...) ...regia accuratissima di Pippo Di Marca...con risultati di evidente eccellenza.

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Simonetta Trovato «Il Giornale di Sicilia» del 17 novembre 2006 L'ascesa e la caduta di un siciliano «riuscito»

Palermo - (...) ...un linguaggio siciliano barocco, ricco di sfumature, nel quale la "fonè" il segno hanno precise e affascinanti correlazioni. (...) Una sorta di monologo interiore e, al tempo stesso, di conviviale affabulazione.

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Pippo Ardini «La Sicilia» del 17 novembre 2006

Palermo - (...) La parola del testo è un sapido e genuino catanese, in grado di autenticare doppiamente in senso basso e in senso alto, al meglio, la "parola" che qui ha cadenza antica.

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Fernando Gioviale «La Sicilia» del 5 marzo 2006 (recensione del libro) Alla fine prevale la pietà

Post mortem è un testo singolare. Ritorna il dialetto, anzi la lingua siciliana. Si tratta, intanto, di un'ulteriore prova di bravura, perché Romeo padroneggia il suo strumento con istinto sicuro. L'effetto è di grande suggestività.

Post mortem è una novella, con tutti i crismi della tradizione e le necessarie innovazioni affabulatorie. Il personaggio descritto da Romeo è sovente solo, col suo immaginare e col suo agire, ma immerso in una dialettica persino aggressiva con l'azione e il pensiero altrui: una coralità diffusa, ora pettegola ora minacciosa sicché l'eroe-antieroe è di continuo accompagnato, vigilato, spiato, sorvegliato, giudicato, aggredito.

Se il compiaciuto gusto dell'eccentrico pare esibire in Pirandello un confortevole nume tutelare, la novella procede tuttavia per oltranze, soprattutto di situazioni, che galoppano verso una estremizzazione talmente radicale da mettere nel conto il pugno nello stomaco, il colpo basso: e finiamo col sospettare che l'antica lezione del dileggio anarchico persuadesse Romeo alla ghiotta tentazione di épater le bourgeois. Si tratta dell'ennesima variazione sul crinale di un eros persistente nell'opera di Romeo, che deve alzare il tiro della dissacrazione disturbante onde scavalcare le trappole di una troppo ovvia digeribilità.

Perché a questo si riconduce, in fondo, la singolare avventura di Filadelfo Torrisi, esperto 'istintivo' di medicina legale e prossimo cattedratico, animale da preda (femminile) vuoi per mero richiamo carnale vuoi per emulativo obbligo genealogico, individuo naturaliter brancatiano per fatale ascendenza.

Il grande arrampicatore Filadelfo, vellicato da inconfessabili lussurie e assediato da mille femminee sembianze, deve ora vedersela con le sue stesse ipertensioni erotiche e indicibili manie, di cui non racconteremo viluppi e snodamenti perché la novella, tesa come una corda di ironiche vibrazioni eppure molle di anfratti indugianti e sorprese stordenti, ordisce una propria logica d'intrigo che accompagna e 'plagia' il lettore persuadendolo a restar vigile sino a una conclusione sorprendente e disturbante, disumana e umanissima.

Ma non è un gioco: perché se la storia potrà piacere sino alla complicità o spiacere sino all'intollerabilità, da ultimo sentiamo che prevale l'umano (forse 'troppo' umano). E c'è ancora, dev'esserci ancora, spazio per la pietà.

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Paolo Randazzo «Centonove» del 3 marzo 2006

Catania - (...) ...gli aggettivi rischiano di essere triti ed inutili se si vuol dar conto di un'esperienza. (...) Romeo non fa la parte di Delfo Torrisi: è Delfo Torrisi. (...) Ecco, se si vuol dire in poche parole cosa accade in scena nel corso dello spettacolo si deve dire che ciò che accade è la necessaria, dolorosa, sorprendente scoperta del senso (o del non senso) nascosto d'una vita intera. Leggendo la novella da cui è tratto lo spettacolo si può pensare a Pirandello e a Brancati, si può pensare a diverse altre importanti esperienze della letteratura europea (teatrale e non), ma non importa affatto: l'intreccio di vita e morte, di vitalissima sensualità e d'attrazione per la dimensione materiale e mortale del corpo, è forse l'architrave più saldo d'ogni più intensa ed autentica espressione artistica: lo è anche in questo caso. Prolungati e tutti meritati gli applausi.

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Giuseppe Condorelli «ildito» del 2 marzo 2006

Catania - (...) ...Romeo impone alla sua messa in scena un processo degenerativo: non solo narrativamente attraverso una sorta di caccia all'uomo, ma attraverso una dinamica drammaturgica costruita su un mutevole gioco di ruoli, grazie al quale il protagonista racconta in prima e in terza persona, teso a spostare ogni equilibrio raziocinante anche nello spettatore.

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Giuseppe Montemagno «BelliniNews» del 25 febbraio 2006

Catania - (...) Sapientemente in bilico tra Pirandello e Brancati, Post mortem sposa l'estetica dell'eccesso nel declinare un racconto crudele, sarcastico, onirico, a tratti gotico. (...) ...la lingua, un siciliano incredibilmente saporoso, tornito e arcaico, prezioso tramite di quel ritorno alla natura, ad una mediterraneità ferina che esplode, deflagra nell'eros animalesco e bestiale. (...) Tutto questo interpretato -ma sarebbe meglio dire narrato, evocato, affabulato- dallo stesso Romeo seduto ad un tavolo ingombro di bicchieri e bottiglie di tutte le fogge: pedine di un gioco pericoloso e avvincente, birilli di un'inesorabile partita diretta con millimetrica precisione dalla regia di Pippo Di Marca. (...) L'estrema conquista diventa unione necrofila che fa inorridire gli astanti ma che fa sorridere lui, Delfo: perché dove gli altri avvertono il tanfo di morte, lui ha tragicamente percepito "ciauru i fìgghia", il profumo di figlia.

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Sergio Sciacca «La Sicilia» del 22 febbraio 2006 Romeo, la lingua che scandaglia i sentimenti

Catania - (...) ...in una storia che l'autore interpreta in una gamma di risonanze.(...) Molti credono che il siciliano sia lingua del volgo e non della poesia. In questo lavoro le varie componenti si aggregano con geniale inventiva, degna di essere considerata per gli sgargianti riflessi di cui riluce. Nino Romeo come attore passa da un registro all'altro con virtuosistica facilità: gli basta cambiare l'impostazione della voce per mutare i connotati dei personaggi e scandagliarne con simpatia i contorni. Le sue opere sono oggetto di studio nelle università. Questo testo continua ad affermare la dignità di una espressione linguistica che abolisce gli artifici.

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Maurizio Giordano «dramma.it» del 21 febbraio 2006

Catania - (...) Ancora una volta Nino Romeo si conferma uno dei più apprezzati ed interessanti autori della drammaturgia contemporanea e con questa ultima sua fatica esalta, grazie anche all'apprezzata collaborazione del regista Pippo Di Marca, la lingua siciliana, così pregna di suoni e significati, l'oralità, la forza del racconto, il fascino e l'impatto che da sempre avuto il quel dualismo, tutto siculo, di pupo-puparo.

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Giovanna Caggegi «La Sicilia» del 19 febbraio 2006

Catania - (...) Ironico e beffardo, il racconto del protagonista procede davanti ad un grande tavolo zeppo di bicchieri, bottiglie di grappa ed acqueviti che nel rigoglio affabulatorio assumono identità diventano presenze ed incontri della vita.

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scheda - rassegna stampa - fotogalley


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