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L'altro figlio

L'altro figlio
di nino romeo

ispirato all'omonima novella di luigi pirandello

 

con
graziana maniscalco

 

e con
daniela alfonso, maria barbagallo, franz cantalupo, raffaella esposito, chiara luce fiorito, massimo graffeo, silvio laviano, evelin magaddino, marcella parito, adriana parrinello, elena ragaglia, antonio reina, francesco teresi, salvatore valentino

 

regia e luci
nino romeo

 

scene e costumi
umberto naso

 

musiche
giuseppe cantone



Il testo teatrale di Nino Romeo L'altro figlio, prende spunto dall'omonima novella di Luigi Pirandello, da cui lo stesso autore ricavò nel 1925 un atto unico -più bozzetto agreste dai sapori veristi, che non restituisce alla scena le suggestioni e le evocazioni dell'opera narrativa-.

La novella propone una delle figure di madri più inquietanti della letteratura pirandelliana: una madre che si ostina ad inviare lettere -lettere senza risposta- ai due figli partiti per l'America, ma che non accetta di riconoscere il figlio rimasto al paese perché frutto di una inenarrabile violenza.

 

 

Al dramma individuale della madre e del figlio rifiutato fa da sfondo il dramma collettivo delle donne del paese abbandonate dai propri uomini partiti per l'America -la prima grande emigrazione del popolo siciliano tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento-.

Così pure il lungo racconto della madre che narra la violenza subita, ha per sfondo storico lo sbarco dei garibaldini nell'isola, ma rimanda, per le vicende narrate, ad una Sicilia tribale ed arcaica.

Il testo teatrale scritto da Nino Romeo tiene conto, in sede narrativa, di tutti gli aspetti presenti nella novella, ma tende a trasferirli, in sede di architettura strutturale, nel rapporto tra coro/collettività e personaggio/totem. La figura della madre, infatti, si sviluppa come personaggio narrativo centrale, ma anche come proiezione delle disperate attese e di un destino avvertito come ineluttabile da parte della comunità femminile del villaggio.

I caratteri drammaturgici della madre rimandano, inoltre, ai residui archetipi di una società matriarcale -il mito della Grande Madre tuttora rintracciabile in alcune zone della Sicilia- che si propongono scenicamente anche attraverso il conflitto tra la collettività femminile e quella maschile.

Il rapporto coro/personaggio è amplificato dall'alternanza dei linguaggi, italiano e siciliano: l'uso del dialetto trasferisce, dunque, su un piano fonetico e sonoro gli intervento e la costituzione del coro/collettività provvisorio.

Nella fase di realizzazione dello spettacolo, altri elementi si sono aggiunti a quelli già presenti nel testo.

La riflessione, in sede programmatica, sulla cultura etnica e sul grande interrogativo -che rimane sospeso ed irrisolto- su quali siano i suoi valori, la sua funzione, il suo destino in termini di contemporaneità: e lo spettacolo, si apre proprio con una scena di violazione di elementi simbolo della tradizione siciliana: simbolo stravolto dalla banalizzazione folklorica, ma la cui riappropriazione -anche nei termini di una presunta autenticità popolare- ci appare, oggi così difficile da perseguire.

In sede estetica lo spettacolo propone un costante conflitto tra naturalismo e astrazione, tra materiali reperti della tradizione e la loro riutilizzazione in termini scenici attinenti alla contemporaneità: ciò che ci proponiamo, dunque, è mantenere questo conflitto in continua agitazione, affinché proprio dal dinamismo concettuale possano nascere soluzioni che devono essere immediatamente violate, smentite e trasgredite per manifestare appieno la loro efficacia.

Anche il personaggio della madre, in questo contesto, subisce un viraggio, concettuale e interpretativo, da figura naturalistica secondo la descrizione popolare, a funzione narrativa ed estetica che si astrae progressivamente nella recitazione di Graziana Maniscalco.

 

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